domenica 22 aprile 2018

Quando la biomassa fa rima con minaccia?

Il legno è uno dei materiali più ecologici: ha un ottimo bilancio energetico, è biodegradabile, se trattato correttamente non inquina e può essere riciclato, tuttavia la sua combustione rappresenta sempre una significativa minaccia alla riduzione delle emissioni di gas serra. Uno dei primi allarmi scientificamente provati porta la firma del Dipartimento di Energia e cambiamenti climatici (DECC) del Regno Unito e risale al 2014. Secondo il rapporto del DECC nel 2020 “circa il 10% dell'elettricità prodotta nel Regno Unito dovrebbe provenire da biomasse legnose provenienti dal Nord America che rischiano di emettere più carbonio della generazione elettrica a carbone”. Se, infatti, la soglia di 200kg CO2 per megawatt è il criterio di sostenibilità adottato dal Regno Unito per l'energia elettrica da biomasse, l’energia elettrica prodotta con le biomasse provenienti dai boschi del Nord America è compresa tra 1.270 e i 3.988 kg di CO2 per megawattora, ossia più di quella del carbone e ben oltre la soglia tollerata dal Regno Unito.

Gruppi ambientalisti come l’inglese RSPB, Greenpeace e Friends of the Earth hanno più volte criticato la sostenibilità della biomassa del Nord America, indicando un crescente numero di studi scientifici che mettono in guardia dall’impiego di biomasse provenienti da boschi che vengono sempre più spesso abbattuti ad una velocità maggiore del tempo di rigenerazione naturale, producendo così emissioni maggiori rispetto alle tradizionali tecnologie a combustibili fossili. Recentemente lo studio scientifico “Not Neutral Carbon: Valutazione dell'impatto netto delle emissioni di residui bruciati per la bioenergia”, firmato da Mary S. Booth e pubblicato lo scorso 21 febbraio su Environmental Research Letters, sembra dimostrare che anche quando vengono bruciati solo gli scarti legnosi (cosa che attualmente non sempre accade) le biomasse contribuiscono ad aumentare l’effetto serra. 

Lo studio ha esaminato gli impatti netti delle emissioni di CO2 dalle biomasse bruciate nelle centrali elettriche statunitensi e i pellet a base di legno che vengono bruciati per sostituire il carbone nella gigantesca centrale elettrica Drax del Regno Unito e in altre centrali elettriche europee. Lo studio si è concentrato sullo scenario più ottimista, analizzando solo la combustione delle cime degli alberi e dei rami abbandonati durante le operazioni forestali che è da sempre considerata neutrale, in quanto questi materiali si decomporrebbero comunque, se lasciati in foresta. Ebbene, lo studio di Mary S. Booth sfata questa leggenda che la CO2 che la legna emette bruciando sia la stessa che è stata assorbita durante la crescita dell'albero e dimostra che anche quando le centrali elettriche bruciano i “residui di legno” escludendo gli alberi tagliati appositamente, le emissioni nette di CO2 sono significative. In realtà interi alberi e spesso intere foreste sono abbattuti per la produzione di energia e di pellet, arrivando a sradicare perfino i ceppi degli alberi abbattuti, con evidenti danni alla tenuta del suolo.

Lo studio ci fa capire che anche supponendo che i materiali bruciati siano veri residui, "circa il 95% della CO2 emessa rappresenta un’aggiunta netta all'atmosfera per decenni", visto che tutte queste strutture consumano decine di milioni di tonnellate di legname all’anno. “Per evitare un pericoloso riscaldamento climatico è necessario ridurre immediatamente le emissioni di CO2 nel settore energetico”, ha spiegato Mary Booth. “Questa analisi mostra che le centrali elettriche che bruciano legno e pellet derivati dai residui sono una fonte netta di inquinamento da carbonio garantita per i prossimi decenni, e lo sono proprio ora, che è più urgente ridurre le emissioni". Di fatto le centrali elettriche Drax e altre centrali a legna americane ed europee emettono più o meno la stessa CO2 per megawattora di quando bruciano carbone, ma dato che le biomasse sono considerate “neutrali” gli incentivi governativi a favore delle energie rinnovabili che ricevono le rendono particolarmente competitive.

Nel 2015 il Regno Unito ha investito 809 milioni di sterline (circa 1,2 miliardi di dollari) in sussidi per le energie rinnovabili alle biomasse, un settore economico che cresce molto più del solare e dell’eolico. Questo accade perché le emissioni di CO2 prodotte dalle centrali a biomassa sono conteggiate in modo da sembrare idonee ai programmi di finanziamento per il contenimento del carbonio e possono usufruire dell’erogazione dei sussidi per le energie rinnovabili. Come anticipato anche dal Dipartimento di Energia e cambiamenti climatici (DECC) del Regno Unito nel  2014, lo studio di Booth ci conferma invece che la combustione di legna per l'energia non è compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi per ridurre l'inquinamento di carbonio nei prossimi decenni e l’uso della bioenergia nei livelli previsti ed incentivati fino ad oggi provocherà un aumento delle emissioni globali di CO2 di circa 9 miliardi di tonnellate all’anno. 

Come se non bastasse, oltre al fatto che con l’utilizzo di combustibili fossili come carbone e petrolio il bilancio di CO2 prodotto dalla biomassa non è migliore, le emissioni di polveri sottili, NOX e monossido di carbonio possono essere addirittura più elevate e devono quindi essere trattate in appositi camini prima di venir rilasciate in atmosfera. Un quadro che deve cominciare a suggerire alla politica nazionale ed europea l’opportunità di fermare il supporto a tutte quelle bioenergie che, nonostante un processo più o meno evidente di “greenwashing” da noi inconsapevolmente finanziato, si rivelano in realtà insostenibili.

Alessandro Graziadei

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