sabato 14 aprile 2018

Alcol: l’informazione vale più del proibizionismo

L’alcol è una delle prime cause di mortalità al mondo con i suoi 3,3 milioni di morti all'anno ed è la causa dell’insorgenza di oltre 230 patologie responsabili di almeno 17 milioni di anni di vita persi. Per questo il mese di aprile da anni è dedicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) alla "prevenzione alcologica” e attraverso l’Alcohol Prevention Day, che quest’anno si celebra il 18 aprile, prova a diffondere i dati sul consumo di alcol nella popolazione attraverso un’attenta campagna sui danni provocati dall’abuso di questa sostanza. Elaborati in Italia dall’Osservatorio Nazionale Alcol (Ona), che dal 1998 è il riferimento formale e ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità per la ricerca, la prevenzione e la formazione in materia di alcol e problematiche alcol-correlate e dal 2011, oltre ad essere  Who-Collaborating Centre, i dati prodotti dall’Ona e dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) contribuiscono a delineare le tendenze e le pratiche che dovrebbero guidare il decisore politico nelle opportune scelte rivolte a contrastare l’uso di alcol nel Belpaese.

Quest’anno la relazione del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin sugli interventi realizzati in materia di alcol e problemi correlati, trasmessa al Parlamento il 21 marzo 2018 proprio sulla base delle analisi di Ona e Istat, ha evidenziato come il fenomeno relativo al consumo di bevande alcoliche in Italia, negli anni più recenti, stia mostrando un profilo nuovo rispetto agli ultimi decenni. I dati epidemiologici sul consumo di bevande alcoliche nella popolazione italiana, infatti, “evidenziano come a fronte di una riduzione del consumo di vino durante i pasti, si stia registrando un progressivo aumento di consumo di bevande alcoliche occasionale e al di fuori dei pasti, condizione ancor più dannosa per le patologie e le problematiche correlate”. I dati relativi al 2016 ci dicono che cresce la quota dei consumatori occasionali di alcol “dal 42,2% del 2015 al 43,3% del 2016” e quella di coloro che bevono alcolici fuori dai pasti “nel 2014 erano il 26,9%, nel 2015 il 27,9%, nel 2016 risultano il 29,2%”.

Secondo i dati Ona e Istat trasmessi al Parlamento si conferma anche la tendenza già registrata negli ultimi 10 anni che vede una progressiva riduzione della quota di consumatori che bevono solo vino e birra, soprattutto fra i più giovani e le donne, mentre aumenta la quota di chi consuma, oltre a vino e birra, anche aperitivi, amari e superalcolici. Un aumento che si registra nei giovani e giovanissimi, ma in misura percentuale maggiore negli adulti oltre i 44 anni e negli anziani. Nella fascia giovanile è invece il “binge drinking”, cioè l’assunzione di numerose unità alcoliche al di fuori dei pasti e in un breve arco di tempo, a rappresentare l’abitudine più diffusa e consolidata. Nel 2015 il fenomeno riguardava il 15,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni di età, di cui il 22,2% maschi e il 8,6% femmine. Nel 2016, invece, il fenomeno riguardava già il 17% dei giovani tra i 18 ed i 24 anni di età, di cui il 21,8% maschi e l’11,7% femmine.

Per quanto riguarda invece la prevalenza dei consumatori a rischio è stata nel 2016 del 23,2% per gli uomini e del 9,1% per le donne di età superiore a 11 anni, per un totale di circa 8.600.000 individui, 6.100.000 di genere maschile e 2.500.000 di genere femminile, che nel 2016 hanno messo in pericolo la propria salute attraverso l'abuso di alcol. Le fasce di popolazione più a rischio per entrambi i generi sono quella dei 16-17enni che non dovrebbero consumare bevande alcoliche e quella dei “giovani anziani” compresi tra i 65 e i 75 anni.  Il risultato è che 800.000 minorenni e 2.700.000 ultra sessantacinquenni sono oggi consumatori a rischio per patologie e problematiche alcol-correlate. Le quote percentuali di consumatori a rischio di sesso maschile sono superiori a quelle delle donne per tutte le classi di età, ad eccezione di quella dei minorenni, dove invece le differenze non raggiungono al momento la significatività statistica.

Che fare? Dai dati appare chiaro che oggi è necessario informare soprattutto i giovani su questo importante argomento: “Solo se con ragionamenti convincenti e con dimostrazioni inoppugnabili si riuscirà a convincere una persona che una certa condotta è sbagliata e dannosa, succederà che quella persona eviterà di cadere nell’errore, ma se ci si limiterà a proibire senza altre motivazioni, anziché ottenere il risultato sperato si rischierà di stimolare una voglia di ribellarsi all’ordine impartito e ad agire in senso opposto”. È questa l'autorevole opinione di Luigi Rainero Fassati, Professore Ordinario di chirurgia  all’Università Statale di Milano che per molti anni ha diretto il Dipartimento di Chirurgia Generale e dei Trapianti del Policlinico di Milano, e che dal 2007, dopo la pubblicazione per Salani del suo libro “Mal d’alcol”, ha deciso di incontrate i ragazzi nelle scuole, raccontando la sua esperienza sul campo attraverso casi clinici concreti di ragazzi che ha seguito in prima persona come medico e che a differenza degli adulti, mancano dell’enzima capace di scindere la molecola tossica dell’etanolo.

Ma la testimonianza autorevole è solo una delle possibilità! Quest’anno quattro studentesse dei licei Orazio e Avogadro di Roma, in alternanza scuola-lavoro all’Istituto Superiore di Sanità, stanno realizzando sotto la guida del direttore dell’Ona Emanuele Scafato un progetto di peer education che invita all’autovalutazione del rischio derivato dal consumo di alcol. Dopo due settimane di full immersion in cui le quattro ragazze hanno studiato i sintomi e i rischi correlati al consumo di alcol, soprattutto tra gli adolescenti, ed appreso le basi dell’approccio statistico, fondamentali per la realizzazione e la valutazione di un questionario online, lo stanno adesso mettendo a disposizione dei loro compagni di scuola. “Attraverso le domande del questionario, che riguardano soprattutto la nostra quotidianità, cerchiamo di individuare i problemi che possono interessare i ragazzi per capire poi, attraverso delle graduatorie, su cosa concentrare la nostra campagna”, ha spiegato Cecilia, 19 anni, studentessa dell'Orazio. Un progetto importante per capire come esista tra i giovani un vuoto di informazione o, nel peggiore dei casi, una cattiva informazione basata su fake news sempre più diffuse sul web, anche rispetto agli effetti dell’alcol: “Bisogna accompagnare i giovani sul web per fargli capire che tutte le notizie vanno analizzate alla luce dell’evidenza scientifica e che non devono seguire tutto ciò che gira sui social, dove spesso ci sono inviti a comportarsi in maniera rischiosa e a consumare bevande alcoliche in modo da abbassare la percezione del rischioha concluso Scafato.

Alessandro Graziadei

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