domenica 11 febbraio 2018

Il biocarburante che uccide(va) i diritti e l'ambiente

Negli anni passati il boom di olio di palma ha causato soprattutto in Indonesia e in Malaysia, i due maggiori produttori mondiali, centinaia di cause legali tra popoli indigeni e industria agraria. Senza creare alcun benessere tra le popolazioni indigene di quelle aree, le piantagioni di olio di palma hanno continuato per decenni un’incessante opera di deforestazione e land grabbing diventando una costante minaccia sociale e culturale per le popolazioni indigene. Anche per questo lo scorso 17 gennaio il Parlamento Europeo ha votato con una larga maggioranza per il temporaneo abbandono da parte dell’Unione Europea dell’uso di olio di palma come biocarburante. La decisione non è ancora vincolante e deve essere prima approvata dai paesi membri dell’Unione, ma per l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si tratta di una decisione che finalmente tutela i diritti umani, visto che quasi ovunque “la produzione dell’olio di palma comporta la violazione dei diritti economici, sociali e culturali dei popoli indigeni, con intere comunità che vengono cacciate e marginalizzate”.

Il ministro per le piantagioni e le risorse naturali malese Mah Siew, in seguito a questo divieto del Parlamento Europeo, ha accusato l’Europa di “apartheid sistematica contro determinate piante” e “determinate economie”. Un’accusa che l’APM considera assurda proprio in virtù delle terribili conseguenze (rese possibili anche dalla corruzione e all’abuso di potere diffusi nel paese asiatico) che hanno le piantagioni di olio di palma in Malaysia e che l’associazione denuncia dal 2012. Infatti, nonostante la Commissione Europea in passato abbia più volte dichiarato che la produzione di olio di palma destinata al mercato europeo di biodiesel dovesse provenire “da coltivazioni ecologicamente certificate”, per l’APM l’Europa non si era fino ad ora mai preoccupata di capire come si fosse arrivati ad avere una piantagione certificata né se per creare una piantagione fossero stati distrutti villaggi o messe in fuga delle comunità indigene. Per l’APM “La maggior parte delle 150.000 persone appartenenti ai popoli degli Orang-Asli della Malaysia hanno ormai perso definitivamente la possibilità di vivere sulla propria terra trasformata in piantagioni di olio di palma e anche da un punto di vista giuridico hanno poche speranze di poter ottenere la restituzione delle terre da cui sono stati cacciati”. 

La situazione è simile nella vicina Indonesia dove nelle isole di Sumatra e Kalimantan (Borneo) le piantagioni di olio di palma coprono circa 120.000 Km quadrati, una superficie pari a quella dell’intero nord Italia. Nella Papua occidentale l'area coltivata a olio di palma è quintuplicata tra il 2010 e il 2015 e anche qui a pagarne le conseguenze sono stati gli indigeni Papua che hanno perso la propria terra e sono stati costretti ad abbandonare la loro economia tradizionale. Anche se la Papua occidentale ospita ancora il 35% delle foreste pluviali dell'Indonesia, ogni anno intere aree di foreste vengono sacrificate alle piantagioni di olio di palma provocando un enorme pressione su migliaia di indigeni che vivono della loro economia tradizionale nelle foreste attraverso la caccia e la raccolta e/o coltivando piccoli campi per l’autoconsumo. “Poiché non posseggono però certificati di proprietà ufficiali, essi non hanno alcuna possibilità di far valere i loro diritti nei confronti delle autorità, delle multinazionali e degli imprenditori interessati alla loro terraha spiegato l’APM. Così quando la terra di una comunità indigena diventa interessante per una qualsiasi attività economica, la comunità viene semplicemente cacciata. 

Come se non bastasse a rischio non sono solo i diritti dei popoli indigeni, ma anche gli impatti ambientali che ha l'uso dell’olio di palma come biocarburante all’interno dei confini dell’Unione, visto che produce tre volte la quantità di emissioni di un diesel convenzionale. Per l’ong Transport & Environment (T&E ) la decisone del Parlamento europeo di porre fine al sostegno del biodiesel a base di oli vegetali prende atto anche del fatto che “Questi carburanti hanno emissioni superiori al gasolio regolare e sono causa di deforestazione e distruzione delle torbiere”. Per Laura Buffet, responsabile dei combustibili puliti presso T&E, “Il voto parlamentare invia un messaggio chiaro all'industria dei biocarburanti: lo sviluppo può provenire solo da combustibili avanzati  e sostenibili come i biocarburanti basati sui rifiuti. Questo compromesso reindirizza gli investimenti nei carburanti del futuro ed elimina il biodiesel da olio di palma, il biocarburante con il più alto rendimento”. 

Di fatto questa decisone mette la politica europea in materia di combustibili su una pista più equa, solidale e pulita, ma lascia comunque aperta la possibilità di utilizzare alcuni biocarburanti di seconda generazione non proprio sostenibili dal punto di vista ambientale fino al 2030. “Esortiamo per questo la Commissione europea e i governi dell’Unione a rafforzare la definizione e l’elenco dei biocarburanti avanzati, in modo da promuovere solo biocarburanti veramente sostenibili ed evitare gli stessi errori del passatoha concluso la Buffet.

Alessandro Graziadei

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