sabato 16 dicembre 2017

L’India e la conservazione selettiva

Sin dai tempi del colonialismo, i popoli indigeni in India (e non soli lì…) sono sempre stati esclusi dai processi decisionali che riguardano le loro terre e i loro diritti. Accusati di danneggiare la foresta e la sua fauna attraverso la pratica del “taglia e brucia” e la caccia, i funzionari forestali indiani si sono abituati a considerare questi popoli, (Adivasi, Baiga, Soliga, Chenchu, Jenu Kuruba…) un “problema” per la conservazione. In realtà, ben lungi dall’essere un “problema”, da generazioni decine di migliaia di comunità indigene proteggono e utilizzano in modo sostenibile le loro foreste, tanto che nel 2006 il Governo indiano con il The Scheduled Tribes and Other Traditional Forest Dwellers (Recognition of Forest Rights Act) ha riconosciuto legalmente i diritti di queste comunità indigene a vivere nelle e delle loro foreste e ad amministrare le loro terre scongiurando, almeno sulla carta, l’erosione dei loro diritti tradizionali a causa di politiche commerciali e forestali scellerate. Nel dicembre 2012, però, il gabinetto dell’allora Primo Ministro Manmohan Singh ha emesso una direttiva che indebolisce il contenuto del Recognition of Forest Rights Act limitando il diritto dei popoli indigeni a porre il veto su progetti speculativi come miniere e dighe, spesso travestiti da virtuosi processi di tutela ambientale, che più o meno regolarmente prendono di mira le loro terre.

Seguendo questa tendenza alla “conservazione selettiva” il mese scorso anche il National Tiger Conservation Authority (NTCA) ha emesso un’ordinanza che stabilisce che i diritti dei popoli indigeni “non dovrebbero essere riconosciuti negli ambienti naturali cruciali per la sopravvivenza delle tigri”, come da alcuni anni sta succedendo nella celebre Riserva delle tigri di Kanha, nel Madhya Pradesh indiano. Pubblicizzata come l’ambientazione del famoso romanzo Il Libro della Giungla di Rudyard Kipling, l’India ha incoraggiato un importante sviluppo turistico nell’area, sostenendo che “non c’è altro posto al mondo in cui si possono vedere [le tigri] così spesso”, accompagnando però il Project Tiger con intimidazioni e sgomberi delle popolazioni autoctone nel nome della conservazione della tigre, proprio là dove il “cucciolo d’uomo” della fantasia di Kipling è cresciuto accanto a Shere Khan! Il risultato è che decine di migliaia di indigeni vengono sfrattati illegalmente dai loro villaggi situati all’interno delle riserve delle tigri e sono oggi costretti a vivere in povertà e miseria ai margini della società.

Per questo il 27 novembre Survival International ha lanciato il boicottaggio mondiale del turismo nelle riserve delle tigri dell’India con un’iniziativa “che continuerà fino a quando i diritti dei popoli tribali che vivono al loro interno non saranno pienamente rispettati” e il Recognition of Forest Rights Act non sarà ripristinato permettendo ai popoli indigeni di vivere e proteggere la propria terra ancestrale. “Un numero sempre maggiore di turisti deve essere consapevole che le riserve delle tigri in India celano un’ingiustizia profonda: lo sfratto illegale delle tribù operato nel nome della conservazioneha spiegato Stephen Corry, il direttore generale di Survival. “Vietando il riconoscimento dei diritti indigeni nelle riserve, il Governo indiano sta aggravando questa ingiustizia che colpisce coloro che vivono ancora al loro interno. Ecco perché chiediamo il boicottaggio di tutte le riserve delle tigri. Le autorità devono rendersi conto che le tigri possono essere salvate solo ottemperando alla legge e riconoscendo i diritti delle tribù, e che i turisti non vorranno recarsi in riserve che sono state svuotate dei loro legittimi proprietari”. In questi ultimi giorni moltissimi volti famosi si sono uniti all’appello di Survival per il boicottaggio mondiale delle riserve delle tigri in India, tra questi figurano l’attrice e attivista Gillian Anderson, l’attore Dominic West, il premio Oscar Sir Mark Rylance, e il musicista e fotografo Julian Lennon e anche il famoso scrittore e ambientalista indiano Amitav Ghosh.

Secondo la ong, che dal 1969 si è impegnata a sostenere il diritto di queste popolazioni indigene a determinare autonomamente il proprio futuro, non solo “la NTCA non ha l’autorità legale per emanare una simile ordinanza, che rappresenta una grave violazione del Forest Rights Act”, ma dimentica che tra il 2010 e il 2014 nella Riserva di BRT, nello stato indiano del Karnataka, “la prima riserva delle tigri in cui i popoli indigeni si sono visti riconoscere il diritto a restare, il numero delle tigri è aumentato ben oltre la media nazionale”. Anche per questo Madegowda, un’attivista per i diritti indigeni della tribù dei Soliga, nell’India meridionale, ha condannato il divieto, definendolo una violazione dei “diritti umani e dei diritti indigeni perpetrata nel nome della conservazione della tigre. Le tribù, le tigri e la fauna selvatica possono vivere insieme, la coesistenza è possibile, perché i popoli indigeni hanno una profonda conoscenza della biodiversità e sanno come proteggere la foresta e la fauna”. Alcuni membri della tribù dei Jenu Kuruba, molti dei quali sono stati sfrattati dal Parco Nazionale di Nagarhole, hanno protestato contro l’ordinanza della NCTA e se non sarà revocata minacciano di bloccare la strada che conduce al parco. “Ci hanno sfrattato con il pretesto che facevamo rumore, che disturbavamo la foresta” ha dichiarato a Survival un rappresentante Jenu Kuruba. “Ma ora ci sono molte jeep e veicoli turistici e queste non disturbano gli animali?”.

In realtà non sono il solo a pensare che dietro agli arbitrari interessi conservativi manifestati dal Governo indiano ci sia dell’altro. Oltre a “vendere” agli operatori turistici un ambiente incontaminato e senza alcuna presenza umana, neanche indigena, è noto che alcuni territori interessati dal Project Tiger sono oggetto di speculazioni industriali a tanti zeri. Così mentre migliaia di turisti ogni anno visitano le riserve delle tigri, all’interno di alcune di queste riserve naturali sono stati approvati progetti energetici ed estrattivi che prevedono la costruzione di dighe e l’esplorazione mineraria alla ricerca di uranio. “Il governo sta vendendo la foresta alle compagnie minerarie. Se andremo nelle pianure, diventeremo dipendenti dall’alcool, berremo e moriremo” ha dichiarato un rappresentante della tribù dei Chenchu, presente nella Riserva delle tigri di Amrabad. “Per questo il Dipartimento alle Foreste vuole sfrattarci da qui. Ma noi non vogliamo andare da nessun altra parte. Noi proteggiamo la nostra foresta. Andar via sarebbe come mettere un pesce fuor d’acqua: morirebbe…”. Forse i popoli indigeni non stanno pagando solo il prezzo di alcuni selettivi progetti di conservazione della tigre...

Alessandro Graziadei

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