sabato 8 aprile 2017

Facciamo respirare il Mediterraneo?

Mentre tra il 28 e 29 marzo a Roma si celebravano i 60 anni dei Trattati di Roma che hanno dato vita alla Comunità europea, una coalizione di associazioni ambientaliste, tra le quali l’italiana Cittadini per l’Ariain compagnia di ong provenienti da tutta la regione del Mediterraneo oltre all’associazione europea con sede a Bruxelles Transport & Environment e all’associazione tedesca NABU, hanno adottato una dichiarazione finalizzata a fare del Mar Mediterraneo una zona di controllo delle emissioni (una cosiddetta zona ECA) per limitare l'inquinamento atmosferico prodotto dalle navi. La Dichiarazione di Roma, questo il nome scelto dalla colazione, è stata adottata a conclusione della Conferenza internazionale “Reducing air pollution from ships in the Mediterranean Seaed arriva dopo che, all’inizio di marzo, nel corso di una riunione del gruppo di lavoro del Consiglio d’Europa, la Francia aveva intrapreso il coraggioso tentativo di spingere per l’istituzione di un’area ECA nel Mediterraneo che comprenda aree di controllo delle emissioni di zolfo (SECA) e ossidi di azoto (NECA) e, allo stesso modo, affronti in modo esplicito il problema delle emissioni di particolato e di black carbon

Se è vero che il trasporto delle merci via mare è più sostenibile sotto il profilo ambientale, perché le navi emettono di fatto livelli di CO2 ridotti, questa è solo una faccia della medaglia. "A livello globale, l’industria del trasporto marittimo delle merci determina una quantità imponente di inquinanti atmosferici che sono causa di gravi danni ambientali e accelerano il fenomeno dei cambiamenti climatici” ha spiegato Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’Aria. Le navi, infatti, utilizzano un olio combustibile molto economico, ma particolarmente denso, detto HFO, con un elevato contenuto di metalli pesanti e un valore massimo di zolfo pari al 3,5%, ovvero 3.500 volte superiore a quello consentito per i carburanti diesel utilizzati dai camion. Come se non bastasse, l’adozione di sistemi efficienti di riduzione dei gas esausti che è considerata la norma per il trasporto di terra, è un’eccezione nel settore del trasporto marittimo, sebbene le tecnologie esistano e abbiano costi accessibili. In aggiunta al basso costo della mano d’opera, queste sono alcune delle ragioni per cui oggi è più economico che molte merci siano prodotte nei Paesi in via di sviluppo e solo in seguito spedite in Europa.

Per la Coalizione ambientalista "Non possano esservi più scuse un ulteriore rinvio di norme più severe alle emissioni delle navi in Sud Europa considerando che le principali rotte marittime dall’Asia verso l’Europa e l’America attraversano il Mar Mediterraneo e che, secondo le previsioni, il traffico navale è destinato a crescere fino al 250% entro il 2050. Inoltre il Mediterraneo è sede di alcune delle destinazioni di crociera più popolari in Europa, con un numero sempre crescente di scali e conseguenti problemi di inquinamento atmosferico locali. In aggiunta, durante il periodo estivo, l’intensa radiazione solare in combinazione con gli inquinanti atmosferici delle navi genera un inquinamento da ozono troposferico dannoso per la salute”. In questo contesto, inoltre, l’istituzione di un’area ECA mediterranea ripristinerebbe una parità di condizioni nel mercato unico europeo dove, finalmente, gli armatori e i porti del sud sarebbero sottoposti agli stessi requisiti normativi vigenti nei mari del nord e "sarebbe uno stimolo per l’adozione di tecnologie a basse emissioni e il trasferimento del know-how necessario all'interno dell’Unione Europea, migliorando la leadership europea nella tecnologia e la creazione di posti di lavoro nel settore marittimo". Pertanto, "standard di emissione più severi nel Mediterraneo sono di vitale importanza per garantire la sostenibilità del settore marittimo dell’UE e la sua competitività economica” ha concluso la coalizione.

Per questo la Dichiarazione di Roma ha invitato ad adottare subito anche per le navi che attraverseranno il Mar Mediterraneo combustibili a minor contenuto di zolfo, l’adozione di filtri antiparticolato e l’uso di nuovi sistemi catalitici, tutte misure che, dalle indagini effettuate da NABU, ridurrebbero le emissioni di black carbon del 99%, quelle degli ossidi di azoto del 97% e quelle delle altre sostanze tossiche come i metalli pesanti di oltre il 99%. Se consideriamo che i filtri per il particolato dei diesel (DPF) e i sistemi catalitici di riduzione delle emissioni (SCRs) per una grande nave portacontainer costano circa 500.000 euro ciascuno e che il costo di costruzione di una nave della capacità di 10.000/12.000 container standard è di circa 100 milioni di euro, l’adozione di questi accorgimenti incrementerebbe tale costo dell’1% circa. Un ragionamento valido anche per le navi da crociera, per le quali la nuova legislazione dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) che entrerà in vigore nel 2020, chiede di ridurre le emissioni di zolfo dal 3,5% allo 0,5%. Una misura necessaria, ma non ancora sufficiente, visto che frenare l'inquinamento non è solo un problema ambientale, ma interessa direttamente anche la salute dei passeggeri.

La designazione del Mar Mediterraneo come area ECA è un passo atteso da tempo per ridurre in modo significativo l’inquinamento atmosferico prodotto dalle navi nella regione. È inaccettabile - ha concluso Gerometta - che la salute delle persone e l’ambiente dell’Europa meridionale debbano ancora soffrire a causa delle emissioni dei gas di scarico del settore marittimo, mentre il Mar Baltico, il Mare del Nord e la Manica hanno standard molto più stringenti da anni”.  Un’opinione condivisa anche da Leif Miller, CEO di NABU, l’associazione capofila del progetto Europeo, che ha ricordato come “gli ambientalisti e i gruppi di riferimento delle comunità nelle città portuali dei vari paesi del Mediterraneo hanno già accolto con favore l'iniziativa e hanno invitato i rispettivi governi a intensificare l’impegno a sostegno un approccio più sostenibile”. Ma se come sostiene Tristan Smith, esperto di trasporti e cambiamento climatico presso l’University College di Londra “la maggior parte dei paesi delega le proprie responsabilità per regolamentare il settore all’IMO” e “molti paesi più piccoli non hanno le risorse per regolamentare il settore, mentre altri scelgono di non limitare le emissioni visto che l'industria delle navi rappresenta un vantaggio per le economie locali, portando turisti e creando posti di lavoro” è tempo di chiedere direttamente all’Europa una legge utile a far respirare il Mediterraneo!

Alessandro Graziadei

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