sabato 4 marzo 2017

E tu quanti pesticidi mangi?

E tu quanti pesticidi mangi? Ci auguriamo non più di quelli consentiti dalla legge! Ma basta questa ragionevole speranza per tutelare la nostra salute? Forse no! Secondo il dossier Stop pesticidi di Legambiente presentato lo scorso 31 gennaio a Roma, sebbene i prodotti fuorilegge, cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti di legge, siano solo una piccola percentuale (l’1,2% nel 2015, era lo 0,7% nel 2014), tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi nel 2015 riguarda un terzo dei prodotti analizzati (36,4%). Per fortuna anche la percentuale di campioni regolari senza alcun residuo, è in leggero rialzo rispetto al 58% del 2014, e si attesta al 62,4%. Il dossier di Legambiente che raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la Protezione Ambientale, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e ASL sembra confermare, almeno in parte, il solito adagio dell'imperante sistema produttivo: anche in agricoltura per inseguire il massimo profitto possibile spesso si rischia di compromettere la salute dei consumatori! 

Per garantire elevati standard di produzioni e nel contempo difendere le colture da attacchi di parassiti, funghi e insetti, buona parte del mondo agricolo ancora oggi ricorre ad un massiccio impiego di pesticidi, nonostante soluzioni alternative e più sostenibili siano da tempo possibili grazie a pratiche agronomiche che mettono al centro del processo produttivo la valorizzazione della biodiversità e la tutela del territorio, coniugando la qualità ambientale con la produzione agricola.  Le conseguenze di queste scelte le troviamo poi, per esempio, nel tè verde o in alcune bacche molto in voga nelle diete attuali, tutti prodotti alimentari che nei campioni di Legambiente sono risultati contaminati da 20 sostanze chimiche differenti. Sono invece 14 i residui chimici trovati in un campione di semi di cumino mentre numerosi altri residui sono stati rintracciati nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale e contaminata anche da 7, 8 o 9 sostanze chimiche contemporaneamente. In generale la frutta è stato il comparto dove la ong ha registrato le percentuali più elevate di multi-residuo e le principali irregolarità con uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) che svettano tra i prodotti maggiormente contaminati dalla presenza di pesticidi.

Per Daniela Sciarra, responsabile delle filiere agroalimentari di Legambiente e curatrice del dossier “Sebbene la situazione tra il 2010 e il 2013 sia migliorata con un trend di diminuzione dell’uso pari al 10%, nel 2014 si è registrata una inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a crescere, passando da 118 a circa 130 mila tonnellate rispetto all’anno precedente. In particolare, nel 2014, sono stati distribuiti circa 65 mila tonnellate di fungicidi (10,3 mila tonnellate in più rispetto al 2013), 22,3 mila tonnellate di insetticidi e acaricidi, 24,2 mila tonnellate di erbicidi e infine 18,2 mila tonnellate di altri prodotti fertilizzanti”. Nel complesso l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), piazzandosi al secondo posto per l’impiego di fungicidi. Tra le sostanze attive più frequentemente rilevate ci sono il Boscalid, il Penconazolo, l’Acetamiprid, il Metalaxil, il Ciprodinil, l’Imazalil e il Clorpirifos (sostanza riconosciuta come interferente endocrino, cioè capace di alterare il normale funzionamento del sistema endocrino e dannoso per l’organismo). Per le sostanze su cui non esiste ancora un parere unanime del mondo scientifico sui rischi, come per il Glifosato dovrebbe valere il principio di precauzione e il divieto di utilizzo, ma non sempre è così nonostante sia attiva la raccolta firme dei cittadini europei per chiedere alla Commissione Europea il divieto totale dell'uso del glifosato. “Lo studio presentato - ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni - evidenzia in modo inequivocabile gli effetti di uno storico vuoto normativo: manca ancora una regolamentazione specifica rispetto al problema del simultaneo impiego di più principi attivi sul medesimo prodotto. Da qui la possibilità di definire regolari, e quindi di commercializzare senza problemi, prodotti contaminati da più principi chimici contemporaneamente, se con concentrazioni entro i limiti di legge. Senza tenere conto dei possibili effetti sinergici tra le sostanze chimiche presenti nello stesso campione sulla salute delle persone e sull’ambiente".

“La terra, l’aria, l’acqua, il cibo, la salute sono di tutti, non solo di una categoria economica - ha dichiarato il presidente di Alce Nero Lucio Cavazzoni -. Si tratta di un diritto fondamentale per una società civile, spesso celato da normative ipocrite che trascurano l’effettiva pericolosità della diffusione di tante molecole chimiche dannose.  È dovere di tutti operare a 360 gradi per ridurre l’impatto della chimica di sintesi nell’ambiente e di cibi che possono recare danno alla salute: è tempo di passare ad azioni concrete per risultati concreti”. L’importante ricerca di Legambiente chiama quindi tutti ad un’azione di responsabilità: “non è sufficiente produrre cibo, si deve e si può produrre cibo sano, che nutra bene e sia buono per l’uomo e per l’ambiente. Che è la casa dell’uomo”. Il massiccio impiego di pesticidi, infatti, non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone. Una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull’ambiente. Nuove molecole e formulati sono stati immessi sul mercato senza un'adeguata conoscenza dei meccanismi di accumulo nel suolo, delle dinamiche di trasferimento e del destino a lungo termine nell’ambiente. Occorre valutare meglio gli effetti in termini di perdita di biodiversità, di riduzione della fertilità del terreno, di accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli.

Eppure le alternative all’uso massiccio dei pesticidi non mancano e sembrano dare ottimi risultati visto che "la crescita della superficie agricola biologica in Italia tra il 2014 e il 2015 ha registrato un aumento del 7,5%". I criteri dell'agricoltura biologica permettono, infatti, di sostituire l’intervento chimico con l’utilizzo dei meccanismi naturali contribuendo alla difesa delle piante, al ripristino della fertilità dei suoli e della biodiversità. Forse “Governo e Regioni dovrebbero investire maggiormente in ricerca e formazione per sostenere con maggior forza questo processo di cambiamento che è stato avviato” ha concluso Legambiente.

Alessandro Graziadei

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