domenica 4 settembre 2016

La “nostra” discarica elettronica indiana

L’e-waste è il nome con cui vengono chiamati tutti i prodotti elettronici destinati ad essere smaltiti dopo la loro “vita utile”, una vita sempre più breve e spesso affetta da obsolescenza programmata. Si tratta di un problema mondiale che l’Europa ha cominciato ad affrontare rendendo obbligatorio il ritiro e l’adeguato smaltimento da parte dei negozi di tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche (i così detti RAEE) a titolo gratuito e senza obbligo di acquisto di un dispositivo equivalente e chiedendo attraverso il Comitato economico e sociale europeo (Cese) una stringente legislazione comune all’Unione europea sull’obsolescenza programmata, capace almeno di “imporre ai produttori l’assunzione dei costi del riciclaggio dei prodotti la cui durata di vita sia inferiore ai 5 anni”. Ma fuori dall’Unione che succede?

La mancanza di una regolamentazione adeguata e l’aumento di una cultura consumistica senza controllo ha portato l’India a diventare oggi, assieme alla Cina, la più grande discarica di prodotti elettronici al mondo. L’India, infatti, è uno dei più grandi produttori di rifiuti elettronici in tutto il mondo, ma attualmente “soltanto il 2,5% di questi rifiuti viene riciclato”, come hanno ricordato gli esperti del settore riuniti a Jamshedpur (India) l’8 e il 9 luglio, per la ventesima edizione della Conference on Non-ferrous Minerals and Metals. Uno studio di Assocham-KPMG, che riunisce le camere di commercio e dell’industria indiana ha rilevato che il 70% dei rifiuti elettronici proviene da apparecchi dell’informatica, il 12% da dispositivi per le telecomunicazione, l’8% da apparecchiature elettriche e il 7% da attrezzature mediche. Ma il paese, non solo produce circa 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno, che diventeranno 5,2 milioni entro il 2020, ma assorbe una quantità considerevole di spazzatura elettronica proveniente dai paesi più sviluppati.

Per i centoventi delegati che hanno discusso a Jamshedpur su come muoversi per realizzare degli standard di riciclaggio degli e-waste a livello mondiale, un ruolo importante verrà giocato dalle tecnologie, soprattutto quelle utili per separare e recuperare dai rifiuti i metalli critici e rari generati dalle principali aziende di metalli non ferrosi. Per gli esperti “le tecnologie innovative, ma economicamente sostenibili, potranno trattare i rifiuti in modo più efficace e più efficiente di quanto fatto fino ad ora”. Certo è che per i delegati “Saranno indispensabili nuovi punti di riferimento e standard internazionali comuni per consentire all’intero settore di gestire il problema prima che la crescente quantità di spazzatura elettronica a livello mondiale diventi una bomba impossibile da disinnescare”.

Proprio con l’intento di esplorare il rapporto tra questioni globali e soluzioni locali anche nel campo dei rifiuti l’Australian National University (Anu) ha organizzato lo scorso 25 e 26 agosto il  World-making and the environment in the Asia-Pacific region,  che ha preso in considerazione soprattutto il caso indiano e le problematicità che i RAEE presentano nel paese asiatico. Secondo una delle relatrici, Assa Doron, l’India si sta facendo carico di un problema mondiale ed è diventata la principale discarica per il nostro e-waste. “Tutto, dai computer, ai telefonini, ai televisori e agli elettrodomestici viene illegalmente esportato in India. Il paese stesso è diventato anche un grande hub del consumo, dove un sacco di prodotti elettronici vengono smaltiti con rischi per la salute e per l’ambiente”.  

In Occidente anche se ci impegniamo per un sempre più attento riciclaggio, sono talmente tanti i beni elettronici che utilizziamo e dismettiamo quasi a ciclo continuo, che non pochi finiscono nei Paesi in via di sviluppo, tanto che secondo l’United Nations Environment Programme (Unep), nel 2015 in India sino stati scaricati illegalmente fino al 90% dei rifiuti elettronici del mondo. Secondo la Doron, anche nel campo dell’inquinamento, “il rapporto tra il locale e il globale ha assunto un nuovo senso di urgenza” e “l’inquinamento provocato dai rifiuti umani permanenti, come la plastica, sono un forte richiamo all’importanza del locale per affrontare i problemi che hanno chiaramente dimensioni globali o macro-regionali”. Secondo Dipesh Chakrabarty, dell’università di Chicago, “L’e-waste è però solo una delle crisi globali che stanno emergendo in questa era geologica chiamata Antropocene, nella quale l’attività umana è quella che influenza maggiormente il clima e l’ambiente”.

Come ci ricorda il sociologo Zygmunt Bauman, quando parla di “glocalizzazione”, anche nel caso dei rifiuti occorre partire dall'individuo e dal locale, ma senza mai perdere di vista la relazione del micro con il macro. Per questo, oggi più che mai, la discarica elettronica indiana e anche un nostro problema, legato sempre più alla sostenibilità di un modello di consumo che produce 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno.

Alessandro Graziadei

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